Angelo  Lorenzon
pittore, scultore, incisore  1927 - 1978

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L’arte di Lorenzon

tra tormento e serenità

(sintesi)

"In quei tempi, in un pomeriggio autunnale, su una bicicletta arrugginita arriva Angelo. Un ragazzo dall’aria timida, un po' trasognata, sotto braccio un rotolo di disegni mentre si presenta con imbarazzo e non osa chiedermi un giudizio su quei suoi lavori. A fatica riesco a sapere che si chiama Angelo Lorenzon, che abita a Refrontolo ed è figlio di agricoltori. Vorrebbe diventare pittore ed è una sua vocazione fin da adolescente".

Chi racconta è Sandro Nardi, il primo (e unico) maestro della pittura di Lorenzon. "Quei tempi" erano mezzo secolo fa. Come poteva dipingere, allora, un "figlio di agricoltori" nella dolce plaga veneta di Refrontolo? Ci sono alcuni disegni e dipinti del 1950-51, quando Angelo faceva ancora il servizio militare: immagini d’una cattivante ingenuità, certo fuori da ogni modernità, ma vive, come uscite dal di dentro, virginalmente. Ecco la natura morta con il cappello da soldato e le montagne sullo sfondo; ecco un Cristo mestamente seduto in mezzo alla campagna; ecco alcune figurine di commilitoni soffuse d’una arguzia gentile. Poi, più avanti, compaiono i cavalli bradi: quasi simboli di una presenza muta nell’ambiente incontaminato. Chi era quel giovanotto in un autoritratto del 1951 che si dipingeva con gli occhi fissi nel vuoto, come per una riflessione sul perché della vita, sui valori dell’esistenza?

Ce lo descrive un altro maestro che non c’è più: Augusto Murer. "Angelo - egli ha scritto - è nato e cresciuto in un ambiente in cui l’uomo è indissolubilmente legato alla natura, una natura che nella sua rustica verità niente concede al decorativo; ove la quiete e gli intatti silenzi invitano l’uomo, ancora in grado di esercitare il suo ruolo di primo piano, a pause di riflessione e di ripensamenti". E ancora, sempre secondo la testimonianza di Murer : "Lontano da influssi di ambienti culturali esterni, la sua vita si è venuta sviluppando nel contatto quotidiano con la pietra, con l’erba, con l’aria, coll’albero e colla sua gente, da cui ha tratto ogni suggerimento, ogni ispirazione".

Bisogna partire effettivamente da qui: dal carattere meditativo e un po’ solitario di Angelo Lorenzon, dal suo amore per le colline in cui abitava, dagli affetti da cui era circondato. Altrimenti bisognerebbe considerarlo, almeno per quanto riguarda la sua giovinezza, un artista "fuori dal tempo".

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...la revisione dell’opera di Lorenzon può portare a scoperte felici. Emerge non più la dissociazione cinica e feroce tipica del Sessantotto e dei successivi "anni di piombo" della nostra storia; bensì un tentativo di riconciliazione con il sentimento più profondo della vita. Lorenzon ha passato momenti duri, anche drammatici; li ha espressi nella sua pittura, ma li ha anche superati grazie all’equilibrio interiore che mai gli mancava. L’immersione nella natura, il sentirsi parte di un tutto unitario, l’appartenenza ad una civiltà come quella veneta, il calore della famiglia, la vicinanza degli amici, anche il silenzio della meditazione, il volgersi pacato alle bellezze del paesaggio: tutto ha contribuito alla maturazione dell’uomo, quindi al trasformarsi del suo humus vitale nell’opera: sia essa pittura o scultura o grafica.

Ci chiediamo allora: non è stato forse, quello di Lorenzon, un cammino di esemplare testimonianza? Si può vivere anche così; e così si può esprimere se stessi. L’importante è portare con sé quella "verità" (etnico - culturale, quindi al fondo biologica) che oggi è diventata così rara in un mondo alienato e nomade come il nostro. Lorenzon è stato un uomo libero che ha saputo rifiutare l’esteriorità delle mode per evidenziare tutta la sua qualità organico - strutturale. La sua arte va vista e giudicata in questo senso.

E’ un arte - lo diciamo oggi, a ventidue anni dalla sua morte - in cui confluiscono esperienze anche molteplici, ravvivate e depurate da un animo forte e meditativo, in cui c’è il segno della sofferenza ma anche quello dell’amore. La tecnica esecutiva non appare mai il fine, bensì il tramite di sentimenti e di aspirazioni, di ansie e di abbandoni. Ammiriamo soprattutto i momenti di tormento e di drammaticità; ma alla fine il loro approdo non può che essere quello della serenità d’animo. E di essa c’è tanto bisogno in questo travagliato volgersi del secolo.

 

Paolo Rizzi

 

       Angelo Lorenzon        
Ultimo aggiornamento  30/03/09

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